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Pascal, Blaise.

Scienziato e filosofo francese. Rimasto orfano della madre a tre anni, fu educato dal padre, Etienne, un alto magistrato dell'amministrazione fiscale, dotato di vasta e profonda cultura, studioso di problemi fisici e matematici. Trasferitosi il padre a Parigi, P. poté frequentare le riunioni del circolo scientifico di M. Mersenne, dimostrando una straordinaria precocità intellettuale e distinguendosi per le proprie ricerche di geometria e fisica. A 12 anni ricostruì da solo una delle proposizioni del teorema di Euclide; a 16 anni pubblicò un trattato sulle coniche (Saggio sulle coniche, 1640); fra il 1642 e il 1646 riuscì a ideare e costruire una macchina calcolatrice, la cosiddetta pascaline, che gli servì per conquistare rapidamente fama anche fuori dagli ambienti scientifici. Si occupò del problema del vuoto, affrontando le questioni sollevate dall'esperimento di Torricelli e contestando la tesi scolastica del presunto horror vacui della natura (Nuove esperienze riguardanti il vuoto, 1646). Nel 1653 scrisse un trattato sui liquidi, pubblicato dopo la sua morte (Trattato sull'equilibrio dei liquidi). Al 1653-54 risalgono anche alcuni brevi lavori sul calcolo combinatorio e su quello delle probabilità. Negli scritti scientifici e metodologici P. criticò il principio di autorità nelle scienze, rifiutando la commistione di queste con la metafisica. Nel 1654 avvenne una svolta radicale nella sua vita, destinata a influenzare pesantemente tutto il suo pensiero successivo: il contatto con il movimento giansenista, che aveva il suo centro nel monastero di Port-Royal, dove P. si ritirò per un certo periodo, determinò in lui una "conversione", di cui è testimonianza un documento, il celebre Mémorial, un brevissimo scritto datato 23 novembre 1654 in cui sono raccolte espressioni altamente rivelatrici della riscoperta della religione. Il movimento giansenista, teso a restaurare nella società cattolica la dottrina agostiniana del peccato originale e della grazia, rappresentava una reazione alle nuove tendenze dottrinali e pratiche manifestatesi nel Cattolicesimo, soprattutto ad opera dei Gesuiti. Insegnava che, in conseguenza del peccato originale, l'uomo era divenuto incapace di conoscere il bene, qualora non lo soccorresse la grazia divina; condannava ogni tentativo di mitigare la legge divina per renderla meno gravosa. Risale a questo periodo lo scritto Conversazione col signor di Saci su Epitteto e Montaigne, dove compaiono insieme il tema dell'esaltazione stoica della grandezza umana e quello della dissacrazione della natura umana, operata dallo scettico Montaigne: solo il dogma del peccato e della redenzione possono spiegare questa antinomia. La difesa del Giansenismo dagli attacchi dei Gesuiti è alla base delle Lettere provinciali, scritte fra il 1656 e il 1657: 18 lettere in cui P. si propose di smascherare la cavillosità e gli espedienti verbali su cui si basava la condanna delle tesi giansenistiche. Ebbero enorme ripercussione in tutta Europa e furono messe all'Indice nel 1657. Sul finire del 1658, P. fissò il disegno di una grande opera apologetica del Cristianesimo, destinata a rimanere incompiuta, per il sopravvenire della sua morte, nel 1662. I frammenti, raccolti e sistemati dagli amici, vennero pubblicati nel 1670 con il titolo Pensées de M. Pascal sur la religion et sur quelques autres sujets. Il progetto prevedeva una difesa del Cristianesimo che ne mostrasse le ragioni senza ricorrere al sostegno della metafisica o a quello della ragione, dimostratasi impotente. La nuova apologetica doveva rivolgersi all'intuizione, fondamento della conoscenza razionale; non la ragione può condurre l'uomo a superare la propria miseria, solo il sentimento, l'esprit de finesse riesce a cogliere la contraddittorietà dell'esperienza umana. Dal proprio limite l'uomo può uscire solo se capace di cogliere l'infinito, Dio; ma la verità del Cristianesimo, il riconoscimento dell'esistenza di Dio, che non può essere oggetto di prove razionali, richiede una scelta personale, che è una scelta di fede ma, per P., anche l'unica scelta possibile. La fede è una scommessa, dove si tratta di scegliere fra Dio e il mondo, e in cui la posta in gioco è l'infinito, l'eterno, per cui in ogni caso, secondo P., vale la pena di scommettere. Gli ultimi anni della sua vita furono dedicati alla composizione di quest'opera. ║ Il pensiero filosofico: P. distingue tre ordini, o piani, spirituali: il mondo della conoscenza scientifica; l'ambito della condizione umana; l'orizzonte soprannaturale della salvezza. Non esiste un passaggio logico da un ordine all'altro, ma il passaggio avviene mediante un salto e con discontinuità. La conoscenza scientifica, di cui Descartes è il più autorevole rappresentante, riguarda soltanto il mondo naturale: il suo metodo è l'esprit de géométrie, che deduce dagli assiomi evidenti per se stessi. Pertanto, accanto all'esprit géométrique, tipico del tecnico e del savant, egli pone l'esprit de finesse, che consiste nella capacità intuitiva di vedere una cosa con un solo sguardo e non con un graduale processo dimostrativo. Per quanto rigoroso, questo sapere scientifico ci lascia non soltanto ignoranti sul nostro destino supremo, ma deve dichiarare il proprio fallimento anche di fronte a nozioni di interesse scientifico come quelle di infinito, dato che la scienza non può conoscere ciò che essa non ha creato. Pertanto, nell'ambito della condizione umana, è possibile entrare solo mediante quell'esprit de finesse, che mette l'uomo a contatto con l'autentica struttura del suo essere. Pur rifacendosi alle indagini scettiche di Montaigne, P. non giunge tuttavia alla conclusione della miseria costituzionale dell'uomo, ma a quella della corruzione di un primitivo stato di perfezione. L'uomo è un malato che ricorda la salute perduta. La filosofia esaurisce il proprio compito nel riconoscimento di questo conflitto umano; ma quando si illude di risolverlo, o esaltando la grandezza dell'uomo e dimenticandone la miseria (come fanno gli Stoici), o mettendo in rilievo la sua miseria e trascurandone la grandezza (come fanno gli Scettici), finisce con il falsare la natura umana. La filosofia non può, dunque, chiudere l'uomo in una sfera di teoretica autosufficienza, ma contribuire per aprirlo a un bisogno di salvezza. L'enigma umano si scioglie con la piena adesione alla rivelazione cristiana e la fede è la logica integrazione dell'insufficiente indagine filosofica. La fede è un salto oltre le evidenze razionali, oltre la logica della non-contraddizione, in un ambito di assoluta esperienza interiore dove "il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce". Le chiavi del mistero umano sono costituite dai due dogmi fondamentali: il peccato originale, che spiega la nostra miseria quale caduta da una condizione più alta; l'incarnazione di Cristo, che restituisce, tramite la Grazia, la possibilità di ritornare alla fonte della perfezione perduta. L'uomo, rispecchiandosi in Adamo, ritrova il senso metafisico delle sue passioni e la ragione ultima della sua inquietudine. In Cristo ritrova la propria miseria riparata e l'esemplarità delle proprie segrete aspirazioni (Clermont, Oise 1623 - Parigi 1662).